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Eventi | 21 febbraio 2020, 07:05

Dal Principato: 'Street scene', da questa sera all’Opèra Garnier di MonteCarlo è in scena la strada

Una meraviglia firmata dal talento indiscusso della regista Lucy Bradley stella del panorama lirico mondiale. Direzione musicale Lee Reynolds.

Dal Principato: 'Street scene', da questa sera all’Opèra Garnier di MonteCarlo è in scena la strada

Oscar Wilde sosteneva che fosse la vita ad imitare l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita e probabilmente aveva ragione. In 'Street scene', in scena da questa sera all’Opéra Garnier di MonteCarlo, è rappresentata in tutta la sua essenza l’esistenza umana. Frutto del genio Kurt Weill tratto dal dramma del premio Pulitzer Elmer Rice già divenuto film grazie a King Vidor nel 1931.

Sfuggito agli orrori della persecuzione nazista, nel 1935 il compositore si trasferì in America. Nel nuovo continente offrì il suo talento a Broadway e il suo intento fu, proprio con 'Street scene', quello di donare al mondo un’opera a stelle e strisce dall’impianto che si è soliti riscontrare nel musical. In questo modo il suo lavoro sarebbe arrivato certamente anche a quella fetta di pubblico lontana dal pianeta lirico. 

L’opera, messa in scena nel  teatro gioiello di Montecarlo, rivela da subito un impatto nettamente cinematografico e spettacolare che conduce chi vi assiste in un vero e propio ‘trip’ attraverso il periodo storico in cui Hollywood cercava Re Kong su un’isola sconosciuta e nascosta in mezzo all’oceano, solo pochi anni prima dei celebri racconti filmici firmati Francis Ford Coppola in cui sorgeva una New York ‘melting pot’, cruda, spietata ma accogliente come un ventre materno. Nelle viscere di un distretto popolare, in cui sono visibili gli interni degli appartamenti e il sistema fognario sottostante con tutte le sue tubature che ricordano l’intricato intestino umano, viviamo un’atmosfera in cui pare possa spuntare dietro l’angolo da un momento all’altro un personaggio come Al Capone o volti unici come quello di Robert De Niro. Come una foto di Berenice Abbott, per capirci. È riconoscibile al contempo oltre alla nudità degli ambienti l’angoscia del disagiato vivere e le debolezze della nostra specie presenti nelle pellicole più moderne del regista Lars von Trier (vedi Dogville).  

La suggestiva scenografia in ferro del quartiere popolare dichiara all’interno di essa l’agire dei personaggi come ingranaggi di un macchinario diversamente inanimato, specchio di una società altrimenti inesistente, ingranaggi stanchi, affaticati dal caldo, sgangherati che si trascinano a stento fra i rifiuti. Vite fragili come i panni adagiati sui fili ad asciugare in attesa che il fumo denso proveniente dai tombini prima o poi si diradi lasciando trasparire un raggio di sole, di speranza.

Come uccelli in gabbia, lo straordinario cast racconta le vicende di 'Street scene', in cui troviamo incorniciata fra giovani amori, miseria, personaggi estremi e reali, donne al balcone che si scambiano pettegolezzi, ragazzi che sognano di diventare stelle di Broadway, la storia di Anna Maurrant (interpretata da Patricia Racette), una donna infelice che evidenzia il suo ‘mal di vivere’ nell’aria ‘Somehow I never could believe’ sognante l’amore vero, quello che Frank (Paulo Szot), suo marito, uomo dal gomito sempre  troppo ‘alto’, violento ed iracondo, non è mai riuscito a darle. Insieme ai coniugi il figlioletto Willie (Joseph Sonne) e la loro figlia adolescente Rose (Mary Bevan), musa del dolcissimo innamorato, che si muove in punta di piedi, Sam Kaplan (Joel Prieto). I giovani immaginano insieme un avvenire favorevole in ‘We’ll go away together’.

Anna tradirà suo marito col gentile Mr. Sankey (Benoît Gunalons). Accecato dalla rabbia Frank, trovandoli insieme, uccide entrambi. Dopo la sua cattura, Rose disperata decide di andare via, rinunciando a Sam, nello stesso momento in cui nuovi immigrati si accingono a completare le ormai mancanti tessere del mosaico.

Questa meraviglia è firmata dal talento indiscusso della regista Lucy Bradley stella del panorama lirico mondiale. Direzione musicale Lee Reynolds. Gli attori, i ballerini e i cantanti conferiscono autenticità e sono perfettamente cuciti sulla scena. Il coro dell’Opéra, sapientemente diretto dal Maestro Stefano Visconti, abbraccia i protagonisti figli di una regia intelligente, impeccabile, senza sbavature che strizza l’occhio anche, in alcuni casi, esibendosi in deliziose gags, alla esilarante slapstick comedy.

Una tela in cui ci sono tutti i colori in questa che è e vuole essere, come l’autore ha sempre definito, un’opera a tutti gli effetti. I protagonisti danzano, cantano e lo spartito si agita fra motivi blues, jitterbug e swing beat, che richiamano lo sfavillante musical, elettrizzante nel momento in cui la scena si muove, aprendosi, disegnando sullo sfondo le ‘shiny lights’ di quella New York che tutti abbiamo sognato almeno un volta imitando Fred Astaire. Presente sul palco anche il ‘Choeur d’enfants’ de l’Académie Ranieri III.

Diego Lombardi

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