Oggi incontriamo Massimo Fusi.
Sono un regista televisivo e amante dello sport da tutta la vita; oggi a 67 anni, non ho ancora smesso di inseguire le mie passioni. Il rapporto con la bicicletta nasce quasi trent’anni fa, utilizzata inizialmente per competizioni di triathlon, si è trasformata, gradualmente, nel mio mezzo di trasporto preferito. Prima viaggiavo poco e principalmente per lavoro o brevi vacanze, in modo molto tradizionale. La svolta è arrivata quando ho partecipato a gare di lunga distanza, sia in Europa che negli Stati Uniti. Lì ho scoperto una dimensione completamente nuova.
Che avventura ci racconti ?
La Great Divide che è davvero una delle esperienze più straordinarie della mia vita. È una gara di 4.900 chilometri che parte da Banff, in Canada, e segue la catena montuosa delle Montagne Rocciose fino al confine tra il New Mexico e il Messico. Si tratta di una competizione in completa autosufficienza: non sono previsti aiuti esterni. Ci sono lunghi tratti in cui non incontri nessuno per giorni e devi affrontare condizioni climatiche estreme, come pioggia, neve o il caldo torrido del deserto. È una sfida non solo fisica, ma anche mentale; perché passare giorni da solo, in mezzo alla natura selvaggia, ti mette alla prova in modi che non ti aspetti.
L'organizzazione non ti fornisce quasi nulla. Gli unici obblighi del partecipante sono: restare sul percorso e avere un transponder satellitare. Questo “aggeggio” ha un doppia funzione, quella più banale che è di essere tracciati mentre la più importante è di poter chiedere soccorso immediato.
Una sfida estrema da gestire?
Bisogna pianificare nel dettaglio l’equipaggiamento: non puoi permetterti di portare troppo peso, ma allo stesso tempo devi essere sicuro di avere tutto il necessario, per sopravvivere in condizioni avverse. Per esempio, avevo una tenda ultraleggera, un sacco a pelo e un materassino da sistemare sul manubrio. Ho portato attrezzi meccanici e scorte di cibo da inserire nel telaio. Durante “il viaggio” ci sono attimi di pura euforia, quando pedali attraverso paesaggi mozzafiato o quando il tuo corpo sembra non sentire la fatica. Ma ci sono anche momenti di disperazione, quando sei esausto, affamato e non vedi una via d’uscita. In quei frangenti, devi trovare dentro di te la forza per andare avanti. Personalmente in questi casi, cerco di spezzare il viaggio in piccoli obiettivi: il prossimo villaggio, la prossima fonte d’acqua, il prossimo tratto pianeggiante. Non devi pensare mai all’intera distanza che ti manca, altrimenti diventa insormontabile.
Ci sono state situazioni di pericolo ?
Fortunatamente no, ma la paura degli orsi è stata una costante nelle prime tappe in Canada. Sapevo che avrei attraversato zone densamente popolate da grizzly, quindi ho preso delle precauzioni. Lo spray anti-orso è obbligatorio, e devi sapere come comportarti in caso di necessità. Di notte cercavo sempre di campeggiare lontano dai sentieri e dai corsi d’acqua, che sono i luoghi preferiti dagli orsi.
Ma è inevitabile: quando ti trovi a pedalare in mezzo a quelle montagne immense, con il pensiero che da un momento all’altro potresti avere “un brutto incontro”, ti senti piccolo e vulnerabile. Però è anche questa sensazione, che rende l’esperienza così intensa e memorabile.
Questi tipi di “gare viaggio" hanno una storia, immagino?
Michael McCoy è l’inglese che viene spesso accreditato come l’ideatore delle “gare avventura” in bicicletta, come la Great Divide Mountain Bike Route (GDMBR).
McCoy fu uno dei primi a concepire l’idea di tracciare un percorso off-road attraverso il continente nordamericano. Negli anni ‘90, immaginò un’esperienza che avrebbe attraversato deserti, foreste, passi montani e vallate desolate, seguendo il Continental Divide, la spina dorsale geografica degli Stati Uniti. La sua visione ha ispirato un’intera generazione di ciclisti, contribuendo alla nascita di altri eventi in tutto il mondo.
Un episodio che ti va di raccontare?
Durante una delle tappe più dure, mi trovavo sotto una pioggia battente e il freddo era insopportabile. Ero esausto, completamente bagnato, e iniziavo a perdere sensibilità alle mani e ai piedi. Sapevo che dovevo trovare velocemente riparo, altrimenti rischiavo l’ipotermia. Fortunatamente, ho incontrato un altro partecipante, un ingegnere americano che mi ha invitato a condividere la sua tenda. Quella notte mi ha salvato. È uno di quei momenti, in cui ti rendi conto quanto sia preziosa la solidarietà tra persone che, pur non conoscendosi, condividono la stessa avventura. Abbiamo passato il resto della gara insieme, e lui ha poi continuato a viaggiare per il mondo per altri due anni. La sua generosità mi è rimasta nel cuore.
Come si conclude l’avventura ?
La fine della gara, è stata molto diversa da come pensavo. Ero convinto che avrei provato una grande sensazione di trionfo, ma in realtà è stato un momento estremamente intimo. Dopo 29 giorni sono arrivato ad Antelope Wells, al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, all’ una di notte e completamente solo. Non c’erano spettatori, nessuna bandiera o linea di arrivo. Mi sono fermato nel deserto, in silenzio, e ho pianto. Non per la fatica o per il dolore, ma per la consapevolezza di aver completato qualcosa di incredibile, qualcosa di unico. Dopo venti minuti, sono stati quattro cani randagi a darmi il “benvenuto”. È stato surreale, quasi poetico. Stavo lì, col fiato corto e un sorriso che non riuscivo a contenere, travolto dalla soddisfazione di aver superato ogni fatica, ogni difficoltà. Ma poi, quasi subito, è arrivata una sensazione opposta: una tristezza profonda, come un colpo al petto. Sapevo che l’avventura, quella fuga dalla realtà, era finita. Queste esperienze ti portano lontano, non solo fisicamente ma anche mentalmente, ti isolano dal mondo quotidiano e ti fanno sentire vivo, libero come non mai. Ogni pedalata, ogni notte sotto le stelle, ti avvicina a qualcosa di più grande, e ti allontana dal rumore della vita di tutti i giorni. Ma poi arriva la fine, e può essere devastante. Ricordo di essere tornato a casa senza riuscire a dormire in un letto. Per 15 giorni ho dormito fuori, in giardino, nel mio sacco a pelo. Ero ancora là, in quelle montagne, in quei deserti, con il vento e il silenzio attorno a me. La mia mente non riusciva ad adattarsi alla routine, al chiuso di una stanza. Era come se il viaggio mi avesse cambiato in profondità.
Qual è il tuo “viaggio” nel cassetto?
La mia testa sta cambiando, sto abbandonando il territorio gare pensando sempre più di viaggiare e basta. All'interno di questa riflessione, il mio desiderio è riuscire a prendermi otto mesi e fare il Giro del Mondo in bicicletta. È una cosa che avevo organizzato per il 2023, ma purtroppo per problemi familiari l'ho dovuta rimandare. Non so se riavrò il tempo e la forza di farlo, però il sogno resta più vivo che mai.
IN & OUT TOUR DEVIDE
porta con te
- Un Transponder satellitare
- Uno Specchietto retrovisore
- La Voglia di faticare
Lascia a casa
- Il Telefonino
- La Paura di non farcela
- Le Abitudini
Valutazione : 5 zaini
Legenda:
1 zaino (non vale il viaggio )
2 zaini (meglio andarci in vacanza )
3 zaini (vale il viaggio ma..)
4 zaini (viaggio da non perdere )
5 zaini (vale più di un viaggio)