Altre notizie - 26 luglio 2023, 18:00

“Pastasciutta antifascista” a Nizza…com’è distante Rosà, in Veneto, dove la sindaca l’ha vietata! (Foto)

Si tratta di un appuntamento tradizionale: la pastasciutta era “odiata” dai fascisti durante il ventennio perché la consideravano un’americanata oltre che non in linea di l’autarchia. Come nacque la “pastasciutta antifascista”

"Pastasciutta antifascista" in ricordo del 25 luglio 1943 a Nizza (fotografie di Laura Albanese e  Danilo Radaelli)

"Pastasciutta antifascista" in ricordo del 25 luglio 1943 a Nizza (fotografie di Laura Albanese e Danilo Radaelli)

Nelle stesse ore nelle quali a Rosà, in Veneto, la sindaca vietava per ragioni di ordine pubblico la tradizionale “pastasciutta antifascista”, a Nizza (555 chilometri di distanza), località nella quale Sandro Pertini visse da esule, è stata organizzata, senza alcun problema, una pastasciuttata antifascista.

Si tratta di un appuntamento tradizionale: la pastasciutta era “odiata” dai fascisti durante il ventennio perché la consideravano un’americanata oltre che non in linea di l’autarchia e le scelte governative e proprio la pastasciutta venne scelta dai famiglia dei fratelli Cervi per festeggiare la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 con l’arresto di Mussolini.

 

Di qui la tradizione della “pastasciutta antifascista” che si è diffusa in Italia ed anche presso le comunità all’estero.

A Nizza, come mostrano le fotografie di Laura Albanese e  Danilo Radaelli, ieri si è gustata la “pastasciutta antifascista” nel corso di un incontro organizzato dall’Anpi  sezione “Costa Azzurra Angelo Grassi e Isotta Gaeta, presidente  Laura Albanese, alla presenza del  Presidente  Musée de la Résistance  Monsieur  Jean-Louis  Panicacci,  della Vice-Presidente  Anpi  di Torino   Rosanna Barello, del partigiano Bruno Breschi e sua moglie Tiziana, del partigiano  Vittorio Deasmundi  e sua moglie Maria Paola, della Presidente  de Le Potager de la Fantaisie  e Vice-Presidente Anpi sezione Costa Azzurra  Patrizia Gallo accompagnata da molti aderenti al Potager,  di altri soci Anpi, di Franco Enrico Paracchini e Michela Bernasconi  sezione Castelletto Ticino e naturalmente  dei soci Anpi Costa Azzurra.

 

Giuseppe e Melania di Casa Elli hanno ospitato la riunione conviviale.
I presenti hanno allegramente pasteggiato e anche discusso della situazione attuale  italiana e poi é stato steso il calendario delle varie prossime  cerimonie: dai fucilati di Sospel 12 agosto ( 15 partigiani italiani uccisi ), dell'Ariane 15 agosto ( 1 partigiana di origine italiane), Liberazione di Nizza  28 agosto ( con ben 6 partigiani italiani uccisi ), Marcia della Memoria  3 settembre ( gli ebrei che fuggirono da Saint Martin Vésubie aiutati dalla IV Armata anch'essa in ritirata ) e del primo atto di resistenza ai nazisti che avvenne a Nizza l'8 settembre  alla Gare Thiers da parte dall'ufficiale Salvatore Bono  medaglia d'oro al valor militare,  che però nessuno commemora e ricorda.



Storia della pastasciutta antifascista (a cura di Kevin Carboni riportata da Wired)
I fascisti odiavano la pasta. E ogni 25 luglio, ormai da 80 anni, in tutta Italia si cucina, si mangia e si celebra la pastasciutta antifascista, per ricordare la fine della dittatura

I fascisti odiavano la pasta. Spaghetti, tagliatelle e maccheroni finirono al confino come Altiero Spinelli, Antonio Gramsci e Sandro Pertini. Per questo la pastasciutta è antifascista. E ogni 25 luglio, ormai da 80 anni, in Italia si cucina, si mangia e si celebra la prima pastasciutta antifascista, offerta dai sette fratelli Cervi alla comunità di Campegine, a Reggio Emilia, per festeggiare la fine della dittatura fascista e la deposizione di Benito Mussolini, avvenuta in quella stessa data nel 1943.

La famiglia Cervi era una famiglia di contadini benestanti. Il signor Alcide, padre dei sette fratelli, era riuscito ad emanciparsi dalla condizione di mezzadro assieme alla moglie Genoveffa e a prendere un podere in affitto a Gattatico, vicino Campegine, nel 1934. Lì costruirono la loro vita, lavorando la terra assieme a Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Ma i Cervi erano molto più che semplici contadini. Erano antifascisti. “Ero cristiano, ma c’era già in me del socialista”, dice di sé Alcide nel libro I miei sette figli. E questa spinta, assieme all’amore per la letteratura, plasmò l’animo politico dei ragazzi. In principio, il più attivo fu Aldo, che si avvicinò ai comunisti leggendo Karl Marx, Antonio Labriola e Jack London.



In poco tempo, tutta la famiglia si unì attivamente nella lotta al fascismo, attirando attorno a loro altri oppositori del regime e trasformando casa Cervi in una tana di antifascisti. “Decidemmo così che avremmo lavorato, oltre la campagna, anche l’Italia e gli italiani, per toglierci il fascismo e l’ingiustizia” scrive ancora Alcide.

La prima pastasciutta antifascista
Fu quindi naturale e immensa la gioia che li pervase la sera del 25 luglio 1943, quando tornando dai campi scoprirono che il dittatore Mussolini era stato deposto, arrestato e confinato in Abruzzo dalla monarchia sabauda. Era tempo di festeggiare e mettere fine anche a quella fame che il fascismo aveva regalato a tutto il paese per 20 anni.

Prima degli anni Cinquanta e della diffusione della produzione industriale, l’Italia è sempre stato un paese di persone malnutrite e affamate, che mangiavano male e morivano presto. Ma con la dittatura fascista e il suo fallimentare progetto autarchico, la guerra in Etiopia e le sanzioni economiche degli altri paesi, durante il ventennio le cose riuscirono anche a peggiorare.



Perché i fascisti odiavano la pasta
Come insegna il sociologo Marco Cerri nel suo libro La pastasciutta dei Cervi, i motivi sono tre. Il primo riguarda il progetto autarchico, perché la pasta si fa col grano e per raggiungere l’autosufficienza cerealicola bisognava consumare poco grano. Il secondo è propagandistico e nasce dai futuristi. Tommaso Marinetti e gli altri si scagliarono contro la pasta dicendo che rammolliva lo spirito, dava sonnolenza e portava al neutralismo, cioè ad essere contrari alla guerra.

Infine, l’ultimo riguarda la logica del ruralismo fascista, che additava la pasta come una moda importata dall’America. Fino agli anni Trenta del Novecento, la pasta era un alimento consumato quasi esclusivamente a Napoli e praticamente sconosciuto nel resto d’Italia. Furono i migranti tornati dagli Stati Uniti a darle nuova vita, dato che tra le comunità italiane d’oltreoceano era un alimento estremamente diffuso.

Fu quindi il sentimento anti statunitense dei fascisti, unito ai problemi economici e alla propaganda futurista che portarono il regime a combattere una guerra contro la pasta, tanto che nei suoi primi anni il consumo pro capite era di appena 12 chili l’anno, ridotto ai 9 durante la guerra. Mentre già nel 1954 ci fu un balzo a 28 chili l’anno, stabilizzatosi poi agli attuali 23 a testa.

Per questo, ancora oggi, la pastasciutta resta un simbolo dell’antifascismo. E quest’anno, a 80 anni dalla fine della dittatura, il 25 luglio 2023 sono state organizzate 220 pastasciutte antifasciste in tutta Italia, come annuncia l'Associazione nazionale partigiani d'Italia. Per ricordare i fratelli Cervi, la loro generosità e l’antifascismo su cui si fonda la Repubblica italiana, nonostante qualcuno provi a farcelo dimenticare.


Beppe Tassone

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