Secondo la Nutrigenomica la guarigione tocca tutti e tre i livelli dell'uomo: fisico, psichico ed emozionale. Il livello fisico è quello più tangibile, dove si palesano i sintomi; il livello psicologico è quello mentale dove si palesano i disagi comportamentali; il livello emozionale è quello legato alla nostra percezione degli eventi, attraverso i nostri sensi, quella sfera in grado di cambiarci l’umore, di renderci pessimisti o apatici o al contrario iperattivi e intolleranti, ma anche gioiosi e fiduciosi.
La malattia, che sia di natura fisica o psicologica, si manifesta con sintomi che raccontano un disagio vissuto, reiterato e molto spesso cronicizzato. Molti scienziati considerano le malattie non traumatiche delle vere e proprie “sociopatie”, vale a dire una sorta di incapacità di adattamento del nostro organismo e della persona all’ambiente. Una sorta di “disequilibrio ambientale” che favorisce l’insorgenza delle malattie. Del resto, anche l'Epigenetica di Lamarck sostiene che è proprio il nostro stile di vita (fenotipo) che modifica il nostro assetto genetico: i geni si modificano.
E’ quindi il nostro modo di essere e di pensare che ci mantiene in salute o in malattia? Bruce Lipton, biologo statunitense, afferma: “Non siamo degli automi genetici, vittime delle eredità biologiche dei nostri antenati. Siamo invece i cocreatori della nostra vita e della nostra genetica”. In parole semplici, ciò che noi crediamo, pensiamo e facciamo determina ciò che siamo! Tutta la nostra vita del resto si basa sull'interagire tra noi e il nostro corpo, tra noi e l'ambiente esterno.
Con entrambi i sistemi, corpo e mondo esterno, abbiamo un rapporto difficile e contrastante: il corpo interagisce con noi attraverso i sintomi, con un linguaggio non sempre di facile interpretazione, mentre l'ambiente esterno, ci mette alla prova attraverso le quotidiane difficoltà di tipo affettivo, lavorativo, economico, familiare. Difficoltà che, se mal gestite, ci attaccano in modo subdolo, provocando in noi un logorio profondo, che si radica, sino a stravolgere i nostri pensieri, i nostri rapporti e le nostre abitudini! Purtroppo molte persone si ritrovano a subire le situazioni, abituate a un perenne stato di insoddisfazione e di malcontento di fondo che non le abbandona mai, se non per brevi sprazzi di felicità illusoria. Così impariamo a “leccarci le ferite”, a “tamponare i buchi” a “rattoppare gli strappi”, e senza darci il tempo di recuperare, ci gettiamo a capofitto in un vortice di stress e ansie con un atteggiamento sempre più pessimista e ipocondriaco.
Potremmo definirle “malattie esistenziali”, malattie che non derivano da un organo che non funziona bene, ma dal nostro modo di vivere squilibrato che nel tempo logora il nostro organismo, fino a farlo ammalare. Così ogni volta che ci ammaliamo, ciò che è malato non è solo l'organo o la funzione corporea, ma la nostra esistenza. Sono psicopatologie che Freud chiamava “malessere della vita”. Tra esse, molto pericolosa è “l'anonimia”, cioè l'essere senza identità, senza coscienza, senza uno scopo: il sentirsi inutili, impotenti, incapaci di comprendere la finalità della propria esistenza. Come Life Coach ritengo che sia indispensabile, per il nostro benessere psicofisico e per la nostra evoluzione, scegliere di “aprirci” alle nostre potenzialità, quasi sempre represse o peggio ignorate. Dobbiamo riscoprire le nostre mille risorse e poi imparare ad utilizzarle.
Parlo di un processo di crescita che inizia sui banchi di scuola e può durare anche tutta la vita, durante la quale occorre avere rispetto per la “ciclicità della natura”, perchè esiste un tempo per ogni cosa: un tempo per agire e per aver pazienza; un tempo per capire e per lasciare andare; un tempo per farsi domande e per smetterla di farsele; un tempo per giocare e per assumersi le proprie responsabilità. Una volta compresa questa “verità” sarà più facile coltivare la fiducia, la volontà e la consapevolezza, vivendo giorno dopo giorno con pienezza e attenzione, apportando serenità e armonia alla nostra esistenza. Purtroppo, il complesso di inferiorità e la scarsa autostima (condizioni mentali molto diffuse) non fanno che indurre a pensare negativo e di conseguenza ad agire in modo poco costruttivo ed efficace.
Smettiamo di lamentarci, di vedere sempre il “bicchiere mezzo vuoto”, di ostinarci in imprese irrealizzabili, deprimendoci per i fallimenti. L'essere ottimisti è un primo importante passo in quel processo evolutivo, tanto rincorso dall'uomo, per cercare di raggiungere e mantenere il più possibile un equilibrio psicofisico. Se riuscite a trasformare la negatività in positività, a crearvi opportunità, credendo nelle vostre capacità, tutta la vostra vita assumerà una qualità diversa, un senso diverso...uno scopo diverso! Ma è molto importante sottolineare che il “pensiero positivo”, pur essendo una potente energia, da solo non basta per poter conseguire i risultati sperati.
E questo perchè rappresenta solo l'inizio di un processo educativo durante il quale, proprio lui deve essere trasdotto in “pensiero creativo”, considerato appunto il suo aspetto dinamico e imminente. In poche parole, per ottenere un risultato, non basta pensare o desiderare il cambiamento, ma dobbiamo metterci nelle condizioni di realizzarlo, attuarlo: dalla teoria alla pratica! Il pensiero positivo indica il progetto, l'intenzione, il modello di riferimento, mentre il pensiero creativo indica la fase di realizzazione, la reale messa in pratica del cambiamento.
Quindi pensare positivo è utile, ma non sufficiente: dobbiamo praticare, attuare, “essere l'azione”! Solo mettendo in atto un'idea allora il cambiamento sarà reale! Per riuscire a passare dalla fase positiva a quella propositiva e creativa, occorre focalizzare bene i nostri obbiettivi, analizzando tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione, prendendo in considerazione tutti gli aspetti: sia quelli ostacolanti che quelli facilitanti.
Tra il pensiero positivo che afferma positivamente l'evento e il pensiero creativo che lo realizza, il passaggio obbligato è il “pensiero propositivo”, nel quale i “mezzi” per attuare la reale conversione sono la motivazione intrinseca, la fede e una grande forza di volontà. Parliamo di una volontà che ci porta a fare “scelte autonome”, libere dai condizionamenti e pregiudizi. La volontà è una funzione psicologica. E’ l'espressione dell'io che coordina che dirige e regola le altre funzioni corporee. Potremmo paragonarla al timone di una nave. E’ colei che permette il passaggio dall’intenzione all’azione. Ad esempio: voglio smettere di fumare; voglio trovare un lavoro che mi gratifica; voglio lasciare una relazione tossica. Essa è un vero e proprio muscolo che va allenato e potenziato. In che modo? Facendo esperienza e mettendosi alla prova.
La volontà forte, sapiente, buona, strategica non è mai una lotta contro qualcosa, né uno strumento che si utilizza per reprimere o inibire, essa è semplicemente una “chiave” che ci permette di aprire le porte che custodiscono le nostre risorse. Se ben allenata, dirige e coordina e può veramente fare la differenza sull’esito finale. La volontà è propria del pensiero creativo, è lo sforzo immediatamente tramutato in azione, è l'intenzione tradotta in pratica! Ed è proprio grazie ad essa che posso decidere di prendermi cura di me stesso, impegnandomi a trasformare la mia vita in un percorso improntato alla crescita e al miglioramento in tutti i campi! Nelle mie sessioni di coaching, stimolo a pensare positivamente e agire in modo creativo, perché sono due comportamenti che permettono di risolvere un problema in modo strategico: identifico, analizzo, valuto i pro e i contro e mi preparo all’azione.
Solo trasformando la situazione, si andranno ad attivare dei cambiamenti, prima psicologici e poi fisici che faciliteranno il raggiungimento dell’obbiettivo. E’ fondamentale organizzare un “piano di azione” in cui la fiducia (il credere sè stessi e nei risultati) gioca un ruolo importante, perchè il “credere” fa veramente la differenza. Ma soprattutto ricordo sempre che, per raggiungere l'obbiettivo che ci siamo prefissati, occorre non solo volerlo, ma è importantissimo fare chiarezza di intenti; sviluppare una mentalità aperta e impegnarci in esperienze di formazione, orientate a uno sviluppo delle capacità gestionali della parte psico-emozionale. Occorre avere uno spirito di adattamento che ci consente di vivere la realtà in modo diverso, e, se necessario, puntare a un cambiamento costruttivo. Ho sempre pensato che coloro che sopravvivono, non sono i forti, ma coloro che riescono ad adattarsi, guidati non dalla loro capacità fisica, ma dalla loro volontà indomabile di cambiare ciò che deve essere migliorato.
E per concludere voglio riportarvi le parole del grande Gandhi: “Sono le lezioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono solo perle false, fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.