A ottobre si assiste a un aumento significativo degli infortuni ai legamenti crociati tra i calciatori, e non è solo una questione di calendario intenso. I nomi in lista si moltiplicano: Duvan Zapata del Torino, uscito in barella a San Siro, ma ci sono anche Bremer e Cabal (Juventus), Cambiaghi (Bologna), Rodri (Manchester City) e Carvajal (Real Madrid). Un fenomeno che, secondo i dati, si ripete con regolarità.
Il dottor Stefano Della Villa, direttore del centro medico Isokinetic, spiega che non è solo la quantità di partite a contribuire agli infortuni, ma anche l’aumento dell’intensità del gioco. I dati mostrano che 8 infortuni su 10 sono causati da movimenti autonomi dei giocatori, senza contatto diretto con avversari.
Ottobre, dunque, si conferma come un periodo critico, un “mese nero” per i crociati. Questo trend è stabile da almeno dieci anni, con una media di 12 casi di rottura del legamento crociato anteriore (LCA) a stagione in Serie A. La combinazione di sforzo fisico intenso e ritmi di gioco sempre più elevati sembra essere alla base di questi infortuni, evidenziando come la preparazione fisica e il recupero siano fattori cruciali per ridurre il rischio.
Il rischio crociato nell'era delle partite ravvicinate
Il problema non è solo il numero elevato di partite. Sebbene il rischio di infortuni al crociato non sia aumentato in modo significativo, la maggiore frequenza degli incontri porta a una maggiore esposizione per i giocatori. Questo, piuttosto che l'infortunio al crociato in sé, contribuisce a un incremento degli infortuni muscolari. Già 76 lesioni muscolari nelle prime sette partite della stagione, mentre i casi di infortunio al crociato sono cinque (Zapata, Bremer, Cabal, Cambiaghi, Circati, Scamacca), a cui si aggiungono quelli di chi si trascina un problema dalla scorsa stagione o ha subito un infortunio in estate.
Negli ultimi anni, l’intensità del gioco è aumentata, così come lo stress fisico e il numero di partite, con conseguente aumento del rischio di lesioni. Come spiega il dottor Della Villa, “l’intensificazione del gioco ha portato a maggiori accelerazioni e decelerazioni, ed è proprio in fase di decelerazione che il crociato è più a rischio”. Un aspetto interessante riguarda le modalità con cui si verificano questi infortuni: secondo Della Villa, esistono tre principali meccanismi. Il primo è il contatto diretto, come nel caso di Ferguson o Carvajal, che subiscono infortuni durante un tackle. Il secondo è il contatto indiretto, come nel caso di Bremer, che si fa male a seguito di una spinta. Infine, c'è il caso senza contatto, in cui un giocatore si infortuna completamente da solo, come nel caso di Zaniolo e, in parte, Zapata.
Le statistiche sono sorprendenti: il 44% degli infortuni ai crociati avviene senza contatto, un altro 44% per contatto indiretto, e solo il 12% è dovuto a un contatto diretto. In sostanza, circa otto giocatori su dieci si fanno male autonomamente. “Va considerato che i professionisti sono atleti altamente selezionati, ma nelle categorie giovanili e tra le donne, la percentuale di infortuni senza contatto è ancora più alta,” aggiunge Della Villa.
Il recupero degli infortuni e il rischio di ricadute: una sfida per lo sport
Nel mondo dello sport, e in particolare nel calcio, si continua a discutere sulla sostenibilità dei carichi di lavoro, sul numero di partite stagionali e su come bilanciare le performance con la prevenzione. Si tratta di un sistema complesso, dove trovare un equilibrio tra recupero e prestazioni ottimali non è affatto semplice. È vero che il numero di gare è in aumento, ma stabilire se si giochi "troppo" resta una questione difficile. Come afferma Della Villa, “la comunità medico-sportiva dovrà sviluppare strategie efficaci, adattate alle nuove sfide che ci impone il contesto attuale”.
Isokinetic, centro medico di eccellenza riconosciuto dalla FIFA e specializzato nello studio degli infortuni, in particolare del crociato, è un punto di riferimento quando si parla di recupero e prevenzione. Ma, come sottolinea Della Villa, l'infortunio al crociato non riguarda solo la lesione al legamento crociato anteriore (LCA), ma è un problema complesso che coinvolge altre strutture del ginocchio, come menischi, legamenti collaterali e cartilagine. “Non si tratta di infortuni da sottovalutare, ma di lesioni che vanno trattate con la massima attenzione”.
Oltre alla chirurgia, che per i calciatori professionisti è la scelta più comune, la fase di recupero gioca un ruolo cruciale. “È fondamentale seguire un programma di recupero basato su criteri scientifici piuttosto che su tempi prefissati. I calciatori di alto livello tornano sempre a giocare, al 100% della loro forma”. Tuttavia, i numeri raccontano una realtà diversa: a cinque anni dal recupero, il rischio di una ricaduta è del 18%, con un calciatore su cinque che rischia di subire un nuovo infortunio. I tempi medi di recupero, secondo uno studio sui giocatori di Champions League, sono di 192 giorni (circa sei mesi e mezzo) per tornare ad allenarsi e di 239 giorni (quasi otto mesi) per rientrare in campo.
Ogni infortunio, però, è unico. Come osserva Della Villa, “esiste una grande variabilità a seconda del tipo di lesione e della risposta individuale di ogni giocatore”. Questo rende ogni percorso di recupero personalizzato e, in alcuni casi, imprevedibile. Nel contesto odierno, dove le gare sono sempre più frequenti e l’intensità fisica è altissima, c’è anche un’altra componente da considerare: il mondo delle scommesse sportive online, che, se da un lato può rappresentare un ulteriore stimolo per i tifosi, dall’altro può influenzare il comportamento dei giocatori, mettendo pressione aggiuntiva sul loro rendimento.
In conclusione, il recupero post-infortunio è una questione complessa, che coinvolge non solo la medicina sportiva, ma anche il contesto più ampio del calcio moderno, dove la gestione del carico fisico e mentale gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione di ricadute.